Antropologia
e psicologia antica
e moderna del cioccolato
terza parte
È questo il caso del cioccolato che indossa la divisa, che diventa parte integrante delle razioni per i soldati. Nel passato, tavolette di cioccolato hanno fatto parte della razione standard delle truppe inglesi impegnate nella guerra anglo-boera così come nelle due guerre mondiali. Nell'esercito americano la razione D, che serve di emergenza in caso di rischio di fame, prevede ben 125 g di cioccolato. Insomma, da quel lontano giorno, in cui Montezuma offrì del cioccolato a Cortés sino a oggi il rapporto tra l'uomo e questo prezioso prodotto della natura è stato contrassegnato solo da aspetti e rituali, che ne hanno sottolineato l'importanza e nobiltà. Importanza che viene anche confermata dagli strumenti della antropologia: le cerimonie legate al suo uso, la sacralità che univa i semi al dio protettore, l'esclusività castuale della bevanda. Perché nei tempi antichi ciò che si riteneva importante era sempre coniugato con il sacro. Ma anche in tempi più recenti il fatto che a lungo sia stato piacere di sovrani e nobili, o che se ne siano decantate le qualità terapeutiche, ne conferma il profondo significato di bene simbolico. E allora, dove mettiamo il male del cioccolato, che ruolo concediamo ai suoi detrattori che ne sostengono tutto il male possibile: dalla ipercolesterolemia, al diabete, all'obesità, ai disturbi epatici. Potremmo sconfiggere questi tristi accusatori del nostro imputato, sostenendo comunque che è ben triste medicina quella nella quale l'uomo si deve astenere da tutti quei cibi che si desiderano in nome di presunti effetti nocivi. Ed in questo siamo sostenuti dall'autorevole parola di Ippocrate, che sosteneva essere "preferibile un cibo un po' nocivo ma gradevole a un cibo indiscutibilmente sano ma sgradevole". Ritengo invece che la presunta nocività del cioccolato non risieda nella sostanza in sé, bensì nell'atteggiamento psichico dell'uomo moderno, che conduce a un uso, che - di per sé - può diventare malattia e che, a sua volta, genera altre malattie. Questo uomo moderno è oggi caratterizzato da un'adolescenza interminabile e infinita e, per questo, come un eterno adolescente èterrorizzato dal vuoto e dalla noia. E sempre più incapace di gustare il piacere preliminare, quello cioè associato alla tensione crescente relativa alla prospettiva della futura gratificazione. È orientato invece solo al piacere terminale, quello associato all'effetto di scarica legato al consumo: deve quindi esaudire compulsivamente ogni desiderio il più rapidamente possibile e nella quantità massima possibile. Siamo cioè, sostanzialmente, una società di malati bipolari, che cercano di allontanare la fase melanconica vivendo un perenne stato maniacale, che ci conduce a fare tutto in fretta, affannosamente, alla ricerca inesauribile di nuove sensazioni. Per rispondere alle esigenze di questo uomo moderno perennemente di corsa, incapace di trovare ritmi più sincronici con quelli della natura, il mondo economico si èadeguato confezionando un'offerta appropriata. Per l'uomo amerindo il cioccolato era rito, sacralità e segno di distinzione di casta; per i conquistatori spagnoli dolce, ritemprante riposo dalle fatiche guerresche; per i re e i nobili europei piacere ma anche squisita medicina oltre che, ancora, segno di riconoscimento di gruppi sociali che facevano della lentezza della degustazione segno di distinzione. Per noi, invece, diventa un qualcosa che deve essere di facile reperibilità, alla portata di tutte le tasche e rapido da consumarsi. Il cioccolato esce così dai templi maya e aztechi, dalle corti sfarzose, dalle botteghe dei raffinati pasticcieri fiamminghi, francesi, piemontesi o toscani per giungere sugli scaffali dei supermercati. Cibarsi di questa sostanza passa quindi da piacere lento e raffinato - più degustazione che nutrizione - a complemento finale dei pasti o alimento consumato voracemente per riempire i vuoti ansiosi di affetti. |