Una
delle forme più elementari di trasformazione del pane in prodotto
dolce è stata quella di aggiungervi miele e, più tardi,
zucchero, frutta, grassi e quant'altro secondo il gusto e la disponibilità
delle varie epoche. Questo è certo avvenuto anche presso i liguri,
che non si sa quando abbiano iniziato a creare un pane più dolce
e più ricco da consumarsi in determinate ricorrenze e festività.
"La nascita del pandolce non è databile, perchè certamente
vi è una miriade di date attraverso le quali il semplice buon
pane è stato arricchito ora con questo ora con quello".
Così esordiscono, a proposito del dolce tipico, Elio Casati e
Giorgio Ortona nel libro "Dolce Liguria, da Ventimiglia a Sarzana",
De Ferrari Editore, 1996. E gli Autori continuano: "La lievitazione
naturale necessaria per un buon pane lo è altrettanto per un
buon pandolce ed è vecchia quanto il mondo. E' presumibile anzi
che la lievitazione naturale sia nata del tutto occasionalmente a seguito
di un "inquinamento" di un impasto di farina e acqua da parte
di microorganismi che l'hanno fatto fermentare. Dalla fermentazione
di una materia organica si produce anidride carbonica, che inserendosi
nell'impasto tende ad espandersi e a creare microalveoli che ne fanno
aumentare il volume, cioè lievitare. Questo da secoli avviene
per ilmpane e questo ha trovato applicazione in tanti tipi di dolci,
per i quali si chiede leggerezza e volume. Una delle forme più
elementari di trasformazione del pane in prodotto dolce è stata
quella di aggiungervi miele e, più tardi, zucchero, poi frutta,
grassi, e quanto altro secondo il gusto e la disponibilità delle
varie epoche. Questo è certo avvenuto presso liguri, che non
si sa quando abbiano iniziato a creare un pane più dolce e più
ricco da consumarsi in determinate ricorrenze e festività. A
Genova, capolinea di intensi traffici con Sicilia, Tunisia, Pantelleria
vi era una forte importazione e disponibilità di uva passa del
tipo zibibbo. Lo zibibbo aveva un prezzo moderato e quindi larga diffusione
nel gusto e nel consumo popolare. Uva ad acino grosso, molto dolce,
detta anche moscato di Alessandria (d'Egitto, naturalmente), per cui
si è ritenuto naturale, volendo arricchire e dolcificare un pane,
utilizzare questa frutta disponibile. E' nato così il primo dei
pani dolci del genovestato...". Oltre al classico pandolce genovese
gli Autori sopracitati hanno raccolto le ricette della focaccia di Natale,
pane allo zibibbo, pandolce di Pietra Ligure, pandolce genovese basso
e un interessante pandolce genovese degli emigrati. Quest'ultima variante
è "grosso modo quella del tradizionale pandolce genovese
con la differenza che si impasta quasi esclusivamente con il vino bianco
e che al posto dei pinoli si usano gherigli di noci. La variante proveniente
da una comunità di liguri da molti decenni residenti nella Repubblica
Argentina. La trasmissione della dose è avvenuta non in italiano
bensì in genovese, trattandosi di oriundi di terza generazione,
che dai nonni e dai genitori avevano appreso il dialetto della loro
terra ma non la lingua italiana. Numerose sono le comunità liguri
nel mondo, soprattutto stabilite da molti anni nell'america del sud:
Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Perù, Uruguay...Nell'anno
1852 un pasticcere genovese, tale Vincenzo Costa, fondava a Rosario
di Santa Fè la Confiteria del Aguila, in via Florida, rapidamente
divenuta famosa non solo nella comunità italiana della città.
Nel corso di un viaggio in Italia, Costa moriva e gli subentrava un
suo impiegato e socio, Gerolamo Canale, anch'egli genovese. Canale ristrutturava
l'azienda costruendo un lussuoso edificio tuttora attivo, florido e
frequentato da una clientela di clesse. Dopo circa centocinquant'anni
i successori dei due genovesi naturalmente hanno adattato la loro produzione
anche a dolci che vanno per la maggiore in Argentina, ma proseguono
anche nella produzione dei dolci tradizionali della Liguria che hanno
dato loro la fama". Nella tradizione ligure più antica vi
era l'uso del pandolce solo a Natale. Sulla cupola del pandolce, per
il pranzo di Natale, si infilava un ramoscello di olivo e il più
giovane della tavolata aveva il privilegio di togliere il ramoscello
prima del taglio della prima fetta. Il taglio invece era riservato al
più anziano, il quale provvedeva alla distribuzione delle fette
a tutti i commensali".
|